Che cos’è la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica)

La malattia

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), conosciuta anche come “Morbo di Lou Gehrig”, “malattia di Charcot” o “malattia del motoneurone”, è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria.

Esistono due gruppi di motoneuroni; il primo (primo motoneurone o motoneurone corticale) si trova nella corteccia cerebrale e trasporta il segnale nervoso attraverso prolungamenti che dal cervello arrivano al midollo spinale. Il secondo (2° motoneurone) è invece formato da cellule nervose che trasportano il segnale dal tronco encefalico e dal midollo spinale ai muscoli.

La SLA è caratterizzata dal fatto che sia il primo che il secondo motoneurone vanno incontro a degenerazione e muoiono. La morte di queste cellule avviene gradualmente nel corso di mesi o anche anni.

I primi segni della malattia compaiono quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti fino ad arrivare ad una progressiva perdita di forza muscolare, ma, nella maggior parte dei casi, con risparmio delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (vescicali ed intestinali).

La SLA presenta una caratteristica che la rende particolarmente drammatica: pur bloccando progressivamente tutti i muscoli, non toglie la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi agli altri. La mente resta vigile ma prigioniera in un corpo che diventa via via immobile. Occorre tuttavia precisare che in una minoranza dei casi, si possono avere alterazioni cognitive, per lo più di lieve entità, ma talora tali da configurare un quadro di demenza fronto-temporale. Questa forma di demenza è nettamente distinta dalla più frequente demenza di Alzheimer, in quanto si caratterizza prevalentemente per alterazioni del comportamento, piuttosto che compromissione di memoria o linguaggio.

Le cause della malattia sono sconosciute, anche se negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo sempre più importante alla genetica, come fattore predisponente, che unitamente ad altri fattori (ad esempio ambientali), può contribuire allo sviluppo della malattia.

L’incidenza si colloca attualmente intorno ai 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno, e la prevalenza è pari 10 ogni 100.000 abitanti, nei paesi occidentali. Attualmente sono circa 6.000 i malati in Italia. La malattia colpisce entrambi i sessi, anche se vi è una lieve preponderanza nel sesso maschile.

Mentre l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi che vengono diagnosticati in un anno, rimane costante, aumenta la prevalenza, cioè il numero di persone che convivono con questa malattia in un determinato momento. Questo aumento è sostanzialmente dovuto al miglioramento dell’assistenza , al generale miglioramento delle condizioni di vita della persona malata, al cambiamento etico/culturale nei confronti delle proprie scelte di vita, di quotidianità.

Pur essendo presenti aree in cui è stato riportato un eccesso di casi rispetto a quanto mediamente atteso  non è associabile il presentarsi della malattia rispetto all’appartenenza ad un’area geografica determinata.

La malattia e l’età: prevalentemente colpisce persone adulte con una età media di esordio intorno ai 60-65 anni; l’incidenza aumenta all’aumentare dell’età.

La diagnosi

La diagnosi di SLA richiede diverse indagini mediche e la valutazione clinica ripetuta nel tempo da parte di un neurologo esperto. Non esiste, infatti, un esame specifico che consenta di accertare immediatamente e senza alcun dubbio la malattia. Compito del medico di famiglia è, quindi, quello di sospettare la SLA fin dai primi sintomi e di indirizzare subito il paziente al neurologo.

Spesso, al termine degli esami iniziali (Tabella 1) sarà possibile solo formulare una diagnosi provvisoria: saranno  state escluse alcune patologie, ma per giungere al responso definitivo occorrerà  aspettare e  valutare  l’andamento della  malattia  nel tempo (Tabella 2).
L’incertezza, quindi, potrebbe  protrarsi  anche  per  diversi mesi, con conseguenze pesanti sullo stato d’animo del malato.
Se la diagnosi fosse incerta o provvisoria, può essere utile chiedere al proprio neurologo di indicare un collega  esperto  di SLA  cui rivolgersi con la documentazione clinica per avere un secondo parere specialistico.

Un rapporto medico-paziente basato su fiducia reciproca e sincerità nella comunicazione è la miglior arma per affrontare  il momento della diagnosi. Se questo  rapporto  non esiste,  o è troppo  fragile per sopportare  l’angoscia legata  a una prognosi grave, la diagnosi non è comunicata al malato bensì ai suoi familiari, che ricevono la pesante responsabilità  di accompagnarlo  nella conoscenza  di una malattia misteriosa e senza nome. 

Vivere con la SLA

La SLA è una malattia  cronica che modifica profondamente la vita. Chi ne è colpito non potrà fronteggiarla da solo: avrà bisogno degli altri per  muoversi,  per  mangiare,  per  comunicare,  per  respirare. Normalmente  questi bisogni primari non pesano sulla relazione tra persone adulte, sane e indipendenti.
La SLA, però, comporta  un cambiamento: la famiglia, gli amici, i colleghi, i medici, lo psicologo, gli infermieri, il personale d’assistenza possono  diventare  risorse preziose  per aiutare  chi ne è colpito a superare  gli ostacoli che la malattia  comporta.  Insieme agli altri gli sarà più facile trovare le cure e gli ausili capaci di ridurre i sintomi e di fargli conservare  la maggior autonomia  possibile. Purtroppo, nel nostro Paese  l’offerta di cure appropriate  è ancora largamente insufficiente:  i pazienti  con SLA  che  riescono  a  usufruirne  sono infatti una minoranza.
Troppo spesso,  dopo  la diagnosi,  prevale  un  clima di sfiduciato disimpegno  e di rinuncia terapeutica. I  pazienti  e i loro familiari sono  poco  e  male  informati;  non  conoscendo  la  malattia  non possono, quindi, contrastarne gli effetti negativi. Alcuni medici, che pure conoscono la SLA, sembrano  ignorare l’esistenza di concrete possibilità di cura.
D’altra   parte   va   detto   che   intervenire   in  modo   appropriato e  tempestivo  è  molto  difficile: non  basta   la  buona  volontà. Sono  necessarie   competenze  specifiche  e  diverse  che  solo  un gruppo  di  lavoro  può  garantire. L’équipe può  essere  costituita dal medico di base,  dal neurologo  e  dal personale  d’assistenza, o arrivare a comprendere neurologo, neurofisiologo, fisiatra, pneumologo,  rianimatore, gastroenterologo, psicologo, dietista, ortofonista, fisioterapista,  fisioterapista  esperto  in ausili, infermieri particolarmente formati, assistente sociale.
Gli interventi  dei vari specialisti  dovrebbero  comunque  essere coordinati da un unico medico  curante (in genere  il medico di base  o il neurologo)  e il paziente  dovrebbe  (come  nel caso di tutte le malattie  croniche) poter essere  assistito presso la propria abitazione. In Italia gruppi di lavoro di questo tipo sono purtroppo rari. Il loro esempio dimostra, tuttavia, che è possibile agire sulla malattia  e migliorare la qualità di vita di chi ne è colpito e dei suoi familiari.
Quanto   accennato    richiede   progetti   finalizzati  a   rimuovere ostacoli  culturali e  strutturali quali la separazione  tra  servizi ospedalieri  e  servizi  per  le  cure  domiciliari o  la  tendenza a inseguire risposte miracolose lontano da casa. In ogni caso, una maggiore conoscenza della SLA e delle sue problematiche  socio- assistenziali rappresenta il primo passo per tutelare  il diritto alla cura  del  malato.  Come  pubblicato  sul  Supplemento   ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n. 226 del 25/9/1999, “i soggetti  affetti da pluripatologie  che abbiano  determinato grave e irreversibile compromissione   di  più  organi  e  apparati”,  tra  cui rientrano  i pazienti con SLA (gruppo riconosciuto con cod. 049), sono esenti dal pagamento del ticket. Inoltre, i malati di SLA possono ottenere dal Centro di riferimento l’esenzione per malattia  rara con codice RF0100, che  dà  diritto a  una  serie  di agevolazioni  sugli ausili (per esempio  carrozzine, comunicatori, modifiche dell’ambiente domestico)  e alla rimborsabilità  di farmaci anche  normalmente non  mutuabili  perché  prescritti  con  piano  terapeutico  da  un Centro SLA accreditato

Torna in alto